Musiche di Armando Gentilucci
Mirco Ghirardini clarinetto e percussioni
Andrea Rebaudengo pianoforte
Orchestra I Pomeriggi Musicali direttore Carlo Boccadoro
1. AZZURRI ABISSI
Per clarinetto e orchestra*
2. GESTI E RISONANZE
Per clarinetto in La e percussioni
3. AL TELAIO DEL TEMPO
Per clarinetto in Sib
4. SELVA DI PENSIERI SONANTI
Per clarinetto in Sib e pianoforte
5. FRAMMENTO
Per clarinetto in SIB
Registrato a Fibbiana in EMA Vinci service
* Registrato a Milano nel Teatro dal Verme il 15 Febbraio 2019
Disegno del suono Giuseppe Scali
Ingegnere del suono Marco Cardone
Assistente alla produzione e grafica Riccardo Magnani
Una produzione


I titoli delle composizioni di Armando Gentilucci (Lecce, 1939 â Milano, 1989) hanno profondi, sotterranei legami con la musica che egli scrive e offrono congrue chiavi dâascolto, nella misura in cui lâimmagine suggerita dalla parola ri- entra nel processo di elaborazione di unâidea e la costruzione della conoscenza passa attraverso la necessitaÌ di essere rappresentata. Gesti, risonanze, telaio, tempo sono correlati del pensiero, prima ancora che vocaboli ricorrenti nelle espressioni del compositore, in quanto rimandano alle categorie della realtaÌ sensibile su cui Gentilucci radica le strut- ture, il respiro e le determinazioni di ogni avventura creativa a partire dal 1977. In questo arco di tempo, lungo poco piuÌ di un decennio, il dualismo, come coesistenza di due principi e opposte condizioni della percezione (gesti/risonanze, tempo/spazio, figura/sfondo, contrasto/continuitaÌ), oltre a fornire immagini suggestive, configura una bipolaritaÌ su cui riposa lâintima ricerca di una poetica, a prescindere da mezzi e fini, attraverso i quali il rapporto si specifica e si definisce in ciascuna opera. Illuminate da unâemergenza sperimentale e dalla consuetudine del compositore con tre valorosi interpreti, le cinque opere di Gentilucci per clarinetto nascono da un interesse sempre rinnovato per lo strumento, e attraverso questo filtro descrivono un iter, in cui la superficie della scrittura si modifica e passa da configurazioni complesse a un tessuto fatto di poche linee, percorso da una tensione melodica e da echi, memorie, dove lâinclinazione âliricaâ sâintreccia col rigore della costruzione: altro binomio che Gentilucci rimodula cammin facendo.
Pensato per la versatilitaÌ musicale di Gaspare Tirincanti, detto Titti, «amico, clarinettista straordinario», dedito anche alle percussioni, Gesti e risonanze per clarinetto in La e percussioni prevede la possibilitaÌ di essere eseguito da un solo musicista, grazie a particolari posizioni sullo strumento, che richiedono lâazione di una sola mano. Il brano, concepito nel 1980, approfondisce dal lato di una sensibilitaÌ particolare, un indirizzo generale di ricerca, che aveva posto il timbro al centro del progetto compositivo. In base a un paradigma nuovo, che lo emancipava dallâessere mera funzione di strut- ture astratte, il colore del suono incarnava e sopravanzava lâidea stessa, come oggetto risultante da un conglomerato di varie altezze, di cui non si avverte piuÌ la distinzione: sonoritaÌ complesse, che danno spessore a piani e masse sonore, dove lâemergenza di una qualitaÌ acustica globale prevale sui dettagli e lâattitudine a plasmare questa materia comporta prima di tutto lâascolto delle sue proprietaÌ. Dallo studio di tali proprietaÌ, esperite con lâausilio di tecnologie, nasce una nuova concezione del comporre, in cui i riflessi del suono elettronico si estendono allâambito strumentale e ne modificano profondamente la prospettiva, anche in un autore come Gentilucci, non particolarmente dedito allâelettronica e alle pratiche di laboratorio, circoscritte ad una piccola ma decisiva parte della sua produzione. Il brano riproduce con gli strumenti il modello acustico attacco-risonanza, ovvero traspone su scala strumentale attacchi percussivi come se fossero registrati e rielaborati dallâelettronica. Il suono-rintocco, che Gentilucci mette in vibrazione allâinizio del brano, si espande e si propaga attraverso successive esplorazioni di un insieme predefinito di altezze, le quali vengono percepite come prolungamenti di uno spazio sonoro e lo stare allâinterno di questo campo permette allâascoltatore di coglierne le trasformazioni. A tal fine Gentilucci esalta la componente gestuale interna alla musica portando in primo piano azioni e conseguenze: lâatto di percuotere gli strumenti (gesto) e le sonoritaÌ lievi del clarinetto, che di quei gesti rappresentano unâeco (risonanza). La bipolaritaÌ del contrasto si intensifica attraverso lo scambio di svariati atteggiamenti propri, ma non esclusivi, dei due strumenti, in una fenomenologia mutevole e disposta a dialogare, se non a trasformarsi ciascuna nel proprio antagonista. Nel decorso formale, congegnato a blocchi di scrittura che non si parlano, ma si corrispondono a distanza, la risonanza iniziale delle campane sta allâespansione velocissima «quasi nebulosa!» del clarinetto al centro come la polifonia implicita, che al principio lega i suoni âpercussiviâ del clarinetto sta alla polifonia effettiva del finale, dove il gesto consiste nel canto del musicista dentro lo strumento. Lâidea di un tempo non lineare, bloccato in una successione di quadri e concepito come spazio amorfo in cui scrivere gli eventi si appoggia a una codifica di scrittura che nega la rigida scansione metrica a favore di una concezione non misurata del tempo.
Gentilucci illustra la sua poetica del tempo ai microfoni di RAI Radio TRE, in un presentazione del brano Al telaio del tempo (1983) per clarinetto in Si bemolle, eseguito in concerto da Ciro Scarponi, cui la composizione eÌ dedicata. Il compositore ricorre a metafore inerenti la tessitura (telaio, trama, rete…) come rappresentazioni della condizione esi- stenziale, che egli pone al centro della sua poetica. Il coesistere in questo ed altri brani di «riferimenti e parole rilkiane e soprattutto borgesiane come tempo, specchio, memoria», offre non solo esplicite indicazioni sulle radici filosofiche del pensiero di Gentilucci, ma individua precise fonti letterarie preposte alle suggestioni che egli ricompone in musica, senza scadere nel descrittivismo o nel compiacimento estetizzante dai quali egli prende con decisione le distanze. Alla base della concezione del tempo di Gentilucci si trova lâarchetipo con cui in antico la lingua greca distingueva tra ÏÏÎżÌÎœÎżÏ (chronos), parola che indicava il tempo cronologico e sequenziale, e ÎșαÎčÏÎżÌÏ (kairos) in riferimento a âun tempo nel mezzoâ, un momento di un periodo di tempo indeterminato nel quale âqualcosaâ di speciale accade. Mentre il primo inerisce la quantitaÌ del contare, il secondo ha un interesse qualitativo. Il decorso formale del secondo pezzo per clarinetto, infatti, non concerne una dialettica suono-silenzio ma una dialettica tra due concezioni del tempo, strutturato e destrutturato, definite attraverso distinte strutture ritmiche (figure irregolari/sequenze isocrone) rispettivamente as- sociate a caratteristiche agogiche (impennate veloci/allentamenti), dinamiche (quattro gradazioni del forte e del piano) e di registro (acuto/grave ricavato nellâambito complessivo corrispondente allâintera estensione dello strumento). Il brano ripropone dunque il contrasto, ma come sovrapposizione di processi che evolvono secondo tempi indipendenti, generando un doppio scorrimento. LâambiguitaÌ deriva dalla percezione di una polifonia illusoria, che il musicista attiva nei passaggi continui da un âatteggiamentoâ allâaltro, dando lâimpressione che gli strumenti siano due, a fronteggiarsi con ritmo serrato sulla soglia di una continua trasformazione.
PiuÌ complessa si configura lâambivalenza in Azzurri abissi, concerto per clarinetto e orchestra, composto per Ciro Scarponi tra novembre 1985 e febbraio 1986. Lâimmagine, che daÌ anche il titolo a questa raccolta, evoca le profonditaÌ marine, e rimanda a una suggestione apparentemente piuÌ arbitraria delle precedenti, se rapportata alle espressioni asciutte, che «mordono sulla materia concreta della composizione», secondo una visione oggettivista, o, per usare unâespressione di Gentilucci, care allâ«estetismo tecnologico» del periodo strutturalista. La scelta, in realtaÌ, frutto di un ripensamento rispetto ad una prima idea (Improvvisi cieli azzurri), desunta da un abbozzo, rimanda a un contestonaturale, che presenta alcune analogie con la struttura profonda della composizione. Secondo unâintervista rilasciata dallâautore, il progetto risulta fondato su unâennesima opposizione, data da «un tessuto mobile allâinterno, ma nelle linee generali tendenzialmente fermo, stupefatto» e dallâirruzione di improvvisi scatti che lacerano la continuitaÌ e subito si dissolvono. Gentilucci ripercorre nelle coordinate fondamentali un dualismo giaÌ sperimentato nelle partiture per orchestra di fine anni Settanta, a partire da Mensurale (1977) e da Il tempo sullo sfondo (1978), dove lâesistenza di un movimento sotto la superficie di stati immobili denunciava un chiaro debito verso il modello ligetiano di scrittura per masse timbriche, mentre il senso gestuale dellââirruzioneâ, spesso brutale, generata dalla manifestazione di eventi contrastanti, declinava il coesistere di una dimensione eterna dellâessere, espressa in un tempo bloccato (lo âsfondoâ) e di una esistenziale dellâesserci, espressa dallâistante o da epifanie figurali che scompaiono rapidamente. Il fatto che su questâossatura di fondo insistano permanenze e novitaÌ stilistiche riporta il cimento creativo di Gentilucci per clarinetto e orchestra su un terreno sperimentale, dove la presenza del solista impone al compositore di rivedere le strutture e i rapporti interni allâorchestra stessa, oltre che, ovviamente, di progettare per la prima volta unâarcata di ampio respiro, entro cui incanalare processi diversificati. Accanto alle caratteristiche ormai codificate della sua scrittura per orchestra, che impiega fasce strumentali polarizzate in registri sovracuti e subgravi col vuoto in mezzo, controbilanciate da grumi di densitaÌ sonore e macchie di colore armonico, Gentilucci concepisce la parte di clarinetto come linea molto mobile e tecnicamente complessa. CioÌ che propone lo strumento non eÌ una melodia cantabile ma un profilo che ha espliciti richiami gestuali e, come tale, eÌ pensato ora in antitesi allo âsfondoâ, ora in dialogo con altri strumenti quasi fosse un personaggio. Questâulteriore dualismo rispecchia unâesigenza espressiva di molti compositori degli anni Ottanta che, dopo molta sperimentazione condotta su masse timbriche, aspirano a ripristinare il gesto attraverso lâintroduzione di una scrittura a linee indipendenti, orientata a valorizzare lâindividualitaÌ degli strumenti. La parte solistica di Azzurri abissi, basata su sequenze di altezze, genera continue convergenze su suoni-perno. Elementi-perno ricorrono spesso in partitura, «quasi pedali multipli interni, centri polari cangianti nel tessuto». Ogni frase del clarinetto inizia con un lungo suono in crescendo che spesso sgorga con enfasi, dissimulato dallâimpasto timbrico col tessuto orchestrale precedente e serve a fissare una polaritaÌ, intorno alla quale, come un asse immaginario, il compositore imposta la struttura della melodia, con figure a valori brevi che si dispongono al di sopra o al di sotto, secondo una tecnica compositiva che rimanda alla monodia gregoriana. Gentilucci, infatti, parla di «espansione allelujatica per certi versi nuova, almeno in larghe zone del tessuto sonoro» e con questa logica applicata agli stessi materiali concepiraÌ Metamorfosi su unâAlleluja (ottobre 1986) per fagotto, altro brano in cui il suono, come nel concerto per clarinetto, viene preso di petto e spinto in un vortice di spericolati volteggi, da cui la struttura melodica tuttavia tende sempre a tornare su se stessa, come in gran parte delle configurazioni vocali e strumentali impiegate anche nellâopera Moby Dick dello stesso periodo (novembre 1985 â febbraio 1986).
Lâattrazione di Gentilucci per le immagini suggerite dalla natura, condizione desiderata e perduta, quanto piuÌ la nostra cultura va prendendo congedo da essa, prosegue col titolo del quarto brano, in cui lo scandaglio passa dalle profonditaÌ marine allâoscuritaÌ del bosco. Figura cui il pensiero occidentale non ha mai smesso di far ricorso (dalla tragedia e dai miti greci alle leggende nordiche, dallâallegoria medievale alla concezione della razionalitaÌ contemporanea), lâoscuritaÌ della selva, incognita, selvaggia, fatta di ombre e di pericoli, muove la suggestione iniziale di Selva di pensieri sonanti, per clarinetto e pianoforte, scritta per Tirincanti nellâaprile 1988. Nellâintroduzione, premessa in partitura, lâautore coniuga lâimmagine dellâintrico arboreo «unitario e multiforme insieme» a puntuali implicazioni conoscitive, creative e sonore. Mentre sul piano concettuale Gentilucci mette a fuoco il dualismo che insiste su categorie gestaltiche della percezione, come la «correlazione tra diversi» e la «diversificazione variativa tra simili», sul piano musicale gioca sullâap- plicazione di questi principi alla combinazione cameristica delle due fonti sonore, per relazionarle attraverso rapidis- simi scambi di strutture («intelaiature armoniche») in configurazioni («figure») simili e permanenze armoniche che tendono a bruciare nel breve volgere di situazioni diversificate: un altro modo di coniugare gesti e risonanze. A livello formale, tripartito, il dualismo si riflette nel contrasto tra il ritmo denso di eventi, dati nelle due sezioni estreme, come «concrezioni» vivaci e cadenzanti, e una parte centrale rarefatta, lenta e meditativa, con frammenti di scala discendente per semitoni e quarti di tono, che dai suoni multipli del clarinetto spaziano attraverso le risonanze del pianoforte. Gli oggetti sonori che popolano la selva, e altrove il labirinto di Gentilucci, rimandano a una «metafora della vita del pensiero», nel fitto del quale, dove non passa la luce e i sentieri si interrompono, si biforcano e si perdono, si puoÌ regredire a un immaginario primordiale, a unâalteritaÌ preoccupante oppure giungere a inaspettate «radure», fino a che «quasi in punta di piedi, non si esce dalla selva».
Lâequilibrio raggiunto tra âspiritoâ strumentale e concezione compositiva si riflette in Frammento per clarinetto in Si bemolle, destinato allâantologia El clarinete actual, curata da JesuÌs Villa-Rojo, cui il brano eÌ dedicato. Risalente ad aprile 1989, un periodo funestato da lutti familiari e dalla manifestazione della malattia, che avrebbe portato il compositore alla morte, avvenuta il 12 novembre di quellâanno, il lavoro, seppur breve, testimonia per molti aspetti un punto dâarrivo o di nuovo inizio della poetica di Gentilucci. Le novitaÌ, rese piuÌ evidenti nellâessenzialitaÌ della linea per strumento solo, indagato in tutta la sua estensione e potenzialitaÌ espressiva, riguardano in primo luogo la quadratura armonica globale, su cui poggiano forma e chiarezza discorsiva delle sue componenti. Alcune frasi, enunciate con impeto dallo strumento, finalizzano slanci virtuosistici e acciaccature, assai ricorrenti nel linguaggio dellâultimo Gentilucci, a illu- minare con insistenza alcune altezze fissate nel registro acuto ed altre nel grave, abbinate ciascuna a un differente contesto espressivo. Lo spostamento del baricentro armonico, infatti, oltre a scandire con colori diversi le articolazioni formali, porta ad unâevoluzione effettiva della struttura melodica che nel breve sviluppo esplora differenti porzioni del campo armonico fissato a priori, fino allo scioglimento della tensione, nel ritorno ossessivo di una coppia di lunghi bicordi incentrati su un semitono discendente che si ricollega al suono iniziale da una prospettiva opposta. Il âsuonoâ di Gentilucci, infatti, eÌ una totalitaÌ articolata nella quale materiale e forma tendono a presentarsi come un continuum.
Monica Boni
Bibliotecario docente dellâIstituto Superiore di Studi Musicali di Reggio Emilia e Castelnovo neâ Monti Responsabile della Biblioteca Armando Gentilucci

Reference e Documentazioni
https://emavincifibbiana.blogspot.com/2019/12/azzurri-abissi-di-mirco-ghirardini.html (BlogSpot – Blogger di Google)
https://gazzettadireggio.gelocal.it/tempo-libero/2019/11/21/news/l-omaggio-di-reggio-emilia-ad-armando-gentilucci-1.37944520 (Gazzetta di Reggio)
https://vk.com/wall410241041_49 (WKontact)
30 Luglio 2019 Terza sessione di registrazione per Mirco Ghirardini nello studio di Fibbiana – Sound Designer Giuseppe Scali – Fonico Marco Cardone, Assistenza Riccardo Magnani.

Per clarinetto in La e percussioni


Per clarinetto in Sib e pianoforte
Mirco con Andrea in EMA Vinci service – Fibbiana








