La traduzione italiana del titolo di questa fondamentale opera pianistica di F. Liszt (1811-1886) dovrebbe essere “Studi d’esecuzione trascendente”. Il titolo rivela immediatamente la sfida che questi 12 studi pongono all’esecutore, ma l’aggettivo trascendente potrebbe anche riferirsi al trascendere le possibilità dello strumento, arrivarne agli estremi limiti.
Lo studio per pianoforte nasce alla fine del XVIII secolo per indicare brevi brani caratteristici o didattici (come esempi dei primi possiamo citare gli Studi di J. V. Dussek, come esempi dei secondi gli innumerevoli Studi di C. Czerny, maestro di pianoforte di Liszt). Gli Studi di Clementi assommavano entrambe le caratteristiche. Nel 1826 il quindicenne pianista prodigio, che già teneva concerti acclamati, pubblicò una serie di 12 Studi.
Avrebbero dovuto essere 48, in tutte le tonalità maggiori e minori (l’esempio dei preludi e fuga di J. S. Bach non doveva essere assente), ma Liszt non completò mai il progetto. Si trattava di brevi brani di esecuzione non difficilissima, non molto diversi dagli Studi di Clementi o Cramer. 11 di tali brani furono poi ripresi e radicalmente cambiati nel 1837.
Si trattava ormai di brani di eccezionale difficoltà e inventiva esecutiva, sia per il numero di note che per il controllo del suono che richiedevano. Si rivolgevano a pianisti professionisti (e forse il solo Liszt era in grado di suonarne correttamente le terribili asperità tecniche) e furono dedicati a C. Czerny.
Nel 1831 Liszt aveva udito suonare Paganini, con il suo demoniaco virtuosismo violinistico. Chopin, nel 1831, pubblicava – dedicandoli proprio a Liszt che li aveva eseguiti – i 12 Studi op. 10, veri studi da concerto e opere fra le più significative di Chopin per bellezza espressiva.
Nel 1852 Liszt riprese ancora una volta questi 12 Studi, anche in relazione ai nuovi pianoforti che venivano prodotti in quel periodo, ben diversi dagli strumenti degli anni ’30. Non si trattò di una semplificazione, anche se qualche diavoleria venne alleggerita, ma di una miglior strumentazione, più efficace. Furono tolte delle sezioni, anche in vista di una maggior coerenza del ciclo, e però fu, ad esempio, aggiunta una introduzione allo Studio n° 4. Questa fu la versione che Liszt considerò definitiva, e che sostituì le altre.
Lo Studio op. 1 n° 11 non venne trascritto nelle due successive versioni, e può essere utile come esempio di quella raccolta. Nonostante richieda certo destrezza, non accoglie difficoltà nuove rispetto al periodo. Il brano è piacevole, con una parte centrale di carattere contrastante in modo minore.
Edizione di riferimento: Wiener Urtext Edition.
Il Primo Studio d’esecuzione trascendente è un brevissimo preludio, di carattere improvvisativo e virtuosistico.
Il Secondo, anch’esso piuttosto breve, è uno studio di agilità a mani alternate che potrebbe ben figurare per scrittura fra gli Studi da Paganini.
Il Terzo, meditativo e poetico (come il Terzo degli Studi op. 10 di Chopin), richiama una poesia di V. Hugo tratto dalle Odi e Ballate (1826). Naturalmente il titolo e il clima poetico vennero dopo la versione giovanile, che è un banale studio di media agilità. La trasfigurazione tecnica e musicale tra le due versioni è semplicemente miracolosa.
Il Quarto è il celebre Studio intitolato a Mazeppa, condottiero cosacco descritto da una burrascosa poesia di Hugo, che ispirò Liszt. Non è certo lo studio più raffinato della raccolta, ma colpisce l’ascoltatore per la inusitata potenza che riesce a trarre dallo strumento, anche in relazione alla curiosa diteggiatura lisztiana, che obbliga il pianista a non poter quasi usare le dita, ma a fare affidamento su polsi e avambracci, creando un suono che sarà poi copiato da Prokofiev, Bartók e da chiunque abbia desiderato avere un suono estremamente percussivo al pianoforte.
Il Quinto si ispira ad uno scambio di battute tra Mefistofele e un fuoco fatuo nel Faust di Goethe. Brano di grandissima raffinatezza armonica, con fruscianti e continue dissonanze che danno bene l’idea della inquieta mobilità del fuoco fatuo.
Il Sesto si ispira ancora a Hugo e narra di una visione apocalittica da giudizio universale. Anche qui l’uso dei registri del pianoforte è di sconvolgente modernità.
Per il Nono si potrebbe parlare di un poema melodico più che di uno Studio. Si sente una certa lezione chopiniana nell’uso degli intervalli, ma le fioriture improvvisative, che riescono a sospendere la percezione del tempo, sono tipiche di Liszt.
Il Settimo non era presente nella raccolta giovanile, ed è uno studio che inizia in modo simile ad alcune parafrasi lisztiane. Si sente la bravura dell’improvvisatore messa su carta con grande abilità. Lo studio poi si rivela pomposo e, a parere di chi scrive, anche ironico.
L’Ottavo è uno fra i più impressionanti per violenza e audacia. Salti e ritmi complessi rendono questa caccia diabolica celeste (nella mitologia nordica, una caccia guidata da Wotan) davvero spaventosa. L’uso avveniristico del pedale e dei registri (si senta l’ultimo accordo, praticamente un rumore) è davvero notevolissimo e profetico.
Per il Nono si potrebbe parlare di un poema melodico più che di uno Studio. Si sente una certa lezione chopiniana nell’uso degli intervalli, ma le fioriture improvvisative, che riescono a sospendere la percezione del tempo, sono tipiche di Liszt.
Il Decimo è in forma sonata, ed è un tempestoso brano di imponente forza espressiva e drammatica.
L’Undicesimo è un altro vasto affresco musicale, dove momenti intimi con poche note espressive si contrappongono a momenti esaltati dove il pianoforte sembra vibrare tutto.
Il Dodicesimo è un esempio di come Liszt sia in grado di trasfigurare il pianoforte rappresentando, in modo stupefacente, un turbinìo di neve. Edizioni di riferimento: Henle Verlag e Edition Musica Budapest.
La Toccata S.179a, composta presumibilmente nel 1879, è di genere affine agli Studi. Si tratta di un classico moto perpetuo, ma è impressionante il cambiamento di scrittura rispetto agli Studi Trascendenti, che pare “prosciugata”. Per la sua leggerezza potrebbe addirittura far pensare a qualche toccata barocca od anche alcuni brani di Ravel o Debussy (penso al preludio Les Tierces alternées). Se la scrittura parrebbe guardare al passato, l’armonia è futuristica. Il brano oscilla tra Do maggiore e La minore, ma i gradi tonali non vengono mai affermati. Di fatto il brano non è tonale. Anche qui si può pensare al tardo Debussy.
I brevi brani di A. Bruckner (1824 – 1896) testimoniano cos’era uno studio tradizionale per pianoforte a metà Ottocento. Bruckner non fu concertista di pianoforte e i suoi brani (in maggioranza, come questi tre brani, contenuti nel cosiddetto Quaderno Kizler, un quaderno di composizioni scritte sotto la guida di Otto Kizler tra il 1862 e il 1864) non hanno destinazione pubblica, nonostante il fascino di certe composizioni. Questo è evidente per quanto riguarda il brevissimo Esercizio sul tremolo. Il primo dei Due Studi possiede un certo fascino melodico, mentre il secondo lavora sulle scale cromatiche.