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Ludwig van Beethoven – Opera integrale per violoncello e pianoforte

George Georgescu violoncello
Daniela Novaretto pianoforte

Sonata No.1 in Fa maggiore per pianoforte e violoncello, op. 5 No. 1
Adagio sostenuto – Allegro – Rondo, Allegro vivace

Sonata No.2 in Sol minore per pianoforte e violoncello, op. 5 No. 2
Adagio sostenuto ed espressivo – Allegro molto piuttosto presto
Rondo, Allegro

Sonata No.3 in La maggiore per pianoforte e violoncello, op. 69
Allegro ma non tanto – Scherzo, Allegro molto
Adagio cantabile – Allegro vivace

Sonata No.4 in Do maggiore per pianoforte e violoncello, op. 102 No. 1
Andante – Allegro vivace – Adagio – Allegro vivace

Sonata No.5 in Re maggiore per pianoforte e violoncello, op. 102 No. 2
Allegro con brio – Adagio con molto sentimento d’affetto
Allegro – Allegro fugato

7 variazioni in Mi bemolle maggiore sul tema “Bei Männern, welche Liebe fühlen”
dall’opera “Il flauto magico” di W.A. Mozart per pianoforte e violoncello
Tema: Andante

12 variazioni in Fa maggiore sul tema “Ein Mädchen oder Weibchen”
dall’opera “Il flauto magico” di W.A. Mozart per pianoforte e violoncello
Tema: Allegretto

12 variazioni in Sol maggiore su un tema dell’oratorio di Händel dall’opera “Judas Maccabäus”
per pianoforte e violoncello
Tema: Allegretto



Prima di Beethoven la sonata per violoncello e pianoforte non esisteva. Il violoncello, quando non svolgeva funzioni di basso continuo, era un solista, più o meno accompagnato dal cembalo; e nella musica da camera agiva per lo più da subalterno. Solo con Beethoven diventa uno strumento concertante. Le due Sonate op. 5 saranno le prime grandi opere cameristiche, rivoluzionarie rispetto alle tre già scritte per pianoforte (op. 2). Hanno due soli movimenti ma assai dilatati e complessi. Beethoven tratta i due strumenti con grande intelligenza timbrica, differenziandone sia i registri, sia i loro disegni ritmici. La parte del violoncello però in queste prime sonate non è sempre all’altezza di quella del pianoforte, chiaramente più impegnativa. Del resto si trattava di sonate “pour clavecin ou pianoforte avec violoncelle obligé”.

La Sonata in fa maggiore n. 1 ha un Adagio introduttivo dove si apprezza la cantabilità del violoncello; il pianoforte espone il tema dell’Allegro, e poi brilla di procedimenti tecnici appariscenti (scale, arpeggi, ottave). Prima della ripresa conclusiva vi è una grande cadenza in tre movimenti: Allegro, Adagio, Presto. Nel secondo movimento il violoncello collabora maggiormente con le evoluzioni del pianoforte, in un equilibrio parzialmente raggiunto; anche con disegni virtuosistici in zona sovracuta.

La Sonata in sol minore n. 2, molto amata dagli interpreti, si apre anch’essa con un Adagio che è quasi un movimento a sé, pieno di elementi nuovi, caratterizzato da ritmi puntati e lunghe pause. Ricco tematicamente l’Allegro che segue: il pianoforte si lancia in lunghi passi di terzine virtuosistiche, e il violoncello ha un bel daffare per stargli all’altezza. La forma è complessa: un allegro di sonata con i due ritornelli tradizionali, con una sorprendente coda del tutto fuori degli schemi. Molto ampio anche il secondo movimento, in sol maggiore (con parte centrale in do), dove il pianoforte, quanto mai impegnato, espone ben quattro volte il tema del rondò. Qui il violoncello diventa più importante rispetto al primo movimento, e stabilisce un vivo dialogo col pianoforte, fatto anche di scorrevoli passi di biscrome.

La terza Sonata, in la maggiore op. 69 ritorna, dopo i due exploit dell’op. 5, a forme più tradizionali e a proporzioni più normali. Minore il virtuosismo, maggiore la parità strumentale; la tonalità di la maggiore favorisce un clima più chiaro e tenero, privo di contrasti. Il violoncello espone da solo il tema iniziale del primo movimento, il pianoforte lo ripete nella seconda sezione. La doppia esposizione ha due cadenze, una per strumento. Ritmicamente caratteristico e umoristico è lo Scherzo, che ha anch’esso una doppia esposizione delle due sezioni (ABABA). Un breve Adagio, unica parte lenta della sonata, conduce al finale, anch’esso pieno di umorismo e di gioiosa vitalità: una festa la stessa scorrevolezza del pianoforte.

Con le due ultime sonate, op. 102, si apre l’ultimo periodo della produzione beethoveniana, la svolta decisiva, con molte innovazioni sia strutturali, sia armoniche, sia contrappuntistiche. La prima Sonata, in do maggiore, si apre con una frase del violoncello, in un Andante che fa da introduzione, prima che esplodano le ottave dell’Allegro in la minore; tono improvvisatorio e concisione della forma caratterizzano questo primo tempo. Il secondo movimento è fatto di tre tempi diversi: un Adagio, quasi recitativo, un Andante che riprende il tema iniziale, un Allegro vivace di carattere polifonico, costruito su una cellula di quattro note ascendenti, dove avvengono ampi sviluppi conclusi da una lunga coda.

L’inizio delle seconda Sonata, in re maggiore, è imperioso e autoritario nel suo doppio balzo ascendente. Tale piglio resta costante per tutto il movimento, ricchissimo di spunti tematici. L’Adagio, tripartito, inizia e termina con una sorta di corale spaziato da ricorrenti silenzi e figurazioni ostinate del pianoforte. Nella parte centrale il canto del violoncello poggia su un movimento di biscrome del pianoforte. L’Allegro fugato, ultimo movimento, è un trionfo del contrappunto. Solo nella Sonata op. 106 per pianoforte Beethoven riuscirà a scrivere una fuga più complessa di questa: sia qui che là egli raggiunge il vertice di tutta la sua ricerca polifonica.

Poco dopo aver pubblicato le due Sonate op.5 Beethoven ha scritto queste tre serie di variazioni: opere leggere, meno impegnative, secondo la moda dell’epoca, non si fregiarono – per volontà di Beethoven – del numero d’opera che si dava almeno ai lavori più importanti: l’op. 66, nel caso di una di esse, non è originale. Hanno la tipica struttura della variazione d’epoca, ossia una serie di momenti psicologici tecnicamente variati, sia che lo spunto provenga da un’opera di Händel, sia dal Flauto magico di Mozart. Temi questi ultimi allora assai popolari a Vienna.                           Riccardo Risaliti


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