DANILO PERTICARO – Saxofonia

E’ il primo disco della collana Sax Europe del saxofonista Danilo Perticaro. Un omaggio all’Europa, ai giovani compositori che credono nel saxofono e nella musica contemporanea. Un disco pieno di emozioni, variazioni timbriche, e dinamiche. Un uso cosciente del suono, si fonde nella raffinatezza dell’elettronica. La scelta dei brani di questo disco, indubbiamente vari, diversi, a volte molto lontani esteticamente, colgono gli aspetti poliedrici dello strumento, in particolar modo in queste  composizioni si evidenziano tutti i tratti specifici conosciuti e meno del Saxofono. 


Der Erde, per sax soprano ed elettronica
Stefano Taglietti

Il titolo tedesco per questo pezzo non è casuale ed è un richiamo alla memoria di alcuni luoghi fisici e culturali che fanno parte della mia vita. L’accostamento del suono ad un luogo fisico è qui qualcosa di segreto che appartiene alla mia immaginazione. Il posto di cui parlo si chiama La Serpentara ad Olevano Romano di proprietà dall’Accademia der Kunste di Berlino. In questo luogo ogni tre mesi si avvicendano artisti provenienti da tutta la Germania: compositori, pittori, scultori, scrittori, fotografi. Anche Bernd Aloise Zimmermann nel 1970 fu residente a La Serpentara. Idealmente ho voluto fare un collegamento, un omaggio a questo splendido compositore e ai tanti che qui ho conosciuto negli anni novanta. Ho accostato al pezzo alcune sonorità della Kosmic Music e di quella parte del “progressive” tedesco che ha avuto il merito di costruire una immaginazione musicale a cominciare dall’estetica sperimentale aperta. In questa composizione troverete ambienti e soluzioni sonore virtuosistiche del sassofono, che simbolicamente rappresenta una voce, un canto dentro un paesaggio di contrasti drammatici e sereni. Il pezzo è dedicato al primo esecutore Danilo Perticaro e a tutto quel mondo che appartiene alla parte più cara della mia memoria. 

Estensione dell’ombra
Massimo Massimi

L’estensione dell’ombra come dualità, come rappresentazione simultanea del suono esplosivo e di un suono introverso e degli aspetti non lineari dell’emissione dello strumento. Il suono introverso è il suono che lo strumento inviluppa al suo interno grazie all’uso di un accessorio appositamente costruito; la dualità interno/esterno, luce/ombra è qui proposta senza soluzione di continuità. L’estensione del suono introverso nelle sue improvvise aperture illumina i transienti nelle micro esplosioni prodotte dalla meccanica strumentale. Il velo poroso posto attraverso il quale il suono si fa ombra e poi torna tale poggia su un impianto virtuosistico totalizzante asservito all’esposizione del fenomeno fisico puro.

Il lavoro dell’orafo 
Luigi Pizzaleo

Il lavoro dell’orafo means both “the job” and “the work of the goldsmith”. It can be performed for one or two alto saxophones and electronics, and it explores the instrument’s voice (and its electronic double) in its timbric features rather than developing thematic structures of notes. The title is referred to the idea of a piece of music as the outcome of the skills of an artisan – but the suggestion of the gold, shining reflections of the instrument’s body (a beautiful, elegant one indeed), is also present. At the same time, the tools of the goldsmith are a good metaphor of the tools of electronics which engrave, melt, polish the precious metal of sound.

Il lavoro dell’orafo si riferisce sia al mestiere dell’artigiano sia alla sua opera. Può essere eseguito per uno o due sassofoni contralti ed elettronica, e, più che costruire strutture tematiche di note, esplora la voce del sassofono (e il suo doppio elettronico) nelle sue caratteristiche timbriche. Ma anche la suggestione dei riflessi dorati e scintillanti del corpo dello strumento (uno strumento davvero bello a vedersi) è altrettanto presente. Gli strumenti dell’orafo sono allo stesso tempo una buona metafora degli strumenti elettronici che incidono, fondono e lucidano il metallo prezioso del suono.

Tourbillons 
Joe Schittino

Tourbillons è stato composto nel 2020 su invito di Danilo Perticaro, a cui il brano è dedicato. Come di frequente in Schittino, a partire da un’evocazione extramusicale (in questo caso i versi surrealisti di Paul Éluard: “Les halos de lumière/ Aux lèvres de l’horizon/ Et des tourbillons de sang/ Qui se livraient au silence”) si svela una serrata paratassi di complesse figurazioni vorticanti, punteggiate da scoppiettii, crepitii, aloni melodici, in una costante tensione verso l’aria, il vento, la leggerezza, la gioia irrequieta del moto ascensionale.

Bricks
Andrea Benedetti
“In principio era la plastica”

Questo è quello che stiamo diventando, il minimo comune multiplo della odierna realtà è fatto di plastica: simbolo di una cultura usa e getta della quale ormai non possiamo più fare a meno. Ne siamo talmente circondati e soggiogati da non rendercene nemmeno conto. Cosa è il buon mattoncino Lego altro se non l’emblema di quegli anni che fanno riferimento alla cultura pop?. Colorati, vivaci e machiavellici, i mattoncini Lego hanno rapito generazioni di ragazzi e adulti, sono talmente infinite le loro combinazioni che sarebbe quasi impossibile contarne gli incastri. Ed è con questa domanda che il basso di ciaccona si è trasformato in un grandioso mattoncino lego, dando vita ad un definitivo “suono plastico”.

L’altra domanda che mi sono posto è stata se fosse stato possibile sintetizzare in suoni una tecnica pittorica. Quindi, tra le varie tematiche da cui ho tratto ispirazione (oltre la Lego) Bricks è decisamente un grande omaggio strumentale ai quadri di Roy Lichtenstein.

Nei suoi quadri si può notare il modo in cui le varie tecniche pittoriche convergono in un unico equilibrio, un esplosione di colori il cui impatto è talmente forte e vivace che lo sguardo non può che restarne attratto. La struttura della ciaccona funge da sostegno a tutto il palazzo sonoro: essa è il mattoncino base, in grado di legare e mettere in relazione i vari momenti in cui si articola il brano. Esso consiste in un ciclo continuo di autocitazioni e di scambi nei quali il materiale elettrico e sonoro, conducono ad una trasposizione utopistica della famosa tecnica fumettistica “Ben Day”: quattro piani sonori creati da un misto di multifonici e note ribattute, vengono sfasati su di un unica linea temporale, la quale nel suo insieme crea l’effetto di un suono compatto e tuttavia cesellato allo stesso tempo. Questo brano non è solo un omaggio al noto pittore statunitense, ma anche al sax stesso, che può essere indicato come l’unica vera star della musica pop e jazz..

World Cries
Antonio Giacometti

(some musical thoughts about suffering) per Sax soprano concertante, due sax tenori, sax baritono ed elaborazioni audio A partire da un canto siriano, World Cries si sviluppa in forma drammaturgica mettendo in scena, attraverso complesse elaborazioni acusmatiche, la disperazione di un mondo invaso dalle ingiustizie, davanti al quale, senza nemmeno accorgercene, voltiamo sempre la faccia, fingendo di non vedere. In un simile orizzonte semantico, il Sax soprano rappresenta la parte dialogante, quella che guarda e ascolta e non ha paura di relazionarsi con il lato oscuro del proprio benessere materiale, mentre il trio rimane sempre “all’esterno”, abbandonando spesso il solista nelle sue escursioni negli abissi dell’orrore.  I materiali musicali spuri, provenienti dalle diverse parti del globo, in continuità con una ricerca quasi trentennale, e le scelte dei campioni audio (brandelli d’interviste, voci, rumori, ambienti …) contribuiscono a creare spaesamento, nell’impossibilità di qualsiasi predizione di un “dopo” che si mostra di volta in volta sempre più inquietante. Dodici quadri ideali, che si succedono senza soluzione di continuità per confermare una personale “estetica del disagio”, che rifiuta la “bellezza” come modalità di elevazione spirituale e morale pagata a caro prezzo da più di due terzi dell’umanità, costretti a vivere tra fame, guerra e malattie dentro una natura sull’orlo del collasso ecologico finale.