Ballabili di Verdi

Il CD è dedicato a pagine verdiane poco frequentate ma non per questo di minore interesse, i ballabili tratti dalle opere destinate alla Francia, Les vêpres siciliennes e Le Trouvère. Una trascrizione curata nei dettagli che permette di apprezzare l’affiatamento e il livello di virtuosità del duo.


SOFFIO ARMONICO
Paolo Mora violino
Andrea Coruzzi fisarmonica

1. L’Inverno*
2. La Primavera*
3. L’Estate*
4. L’Autunno*
5. Pas de Bohèmiens**
6. Gitanella**
7. Ensemble**
8. La Vivandière**
9. Echo de la Vivandière** 10. Echo du soldat**
11. Danse**
12. La bonne aventure**
13. Echo de la Bohèmienne** 14. Galop**

Note per l’ascolto
di Paolo Mora

 I Ballabili delle Quattro stagioni sono inseriti nel III atto de Les Vêpres siciliennes, opera che debuttò a Parigi al Théâtre de l’Opéra il 13 giugno 1855, anno dell’esposizione universale di Parigi. 

Sappiamo che nell’aprile del 1855 l’opera era terminata: da una lettera a Cesare De Sanctis si ha la conferma che Verdi avrebbe iniziato a lavorare al nuovo balletto il 10 aprile 1855 e doveva averlo completato in meno di due settimane. Le stagioni sono un susseguirsi di danze: valzer, polke, mazurke, galop, parti cantabili e pure una siciliana a proposito della quale Verdi scrisse al De Sanctis “desidererei mi mandaste una canzone, un’aria o, che so io, Siciliana. Ma vorrei una Siciliana vera, vale a dire una canzone del popolo e non una canzone fabbricata da vostri maestri.”

Tre accordi iniziali sanciscono l’entrata del Dio Giano che presiede l’anno; questi con una chiave d’oro apre la terra e dà vita alle stagioni. Sorge da terra un canestro coperto di ghiaccio da cui esce la prima stagione dell’anno: l’Inverno. Viene impersonificato da una giovane donna coperta di pellicce; dietro di lei tre giovinette con fardelli che tremano per il freddo percuotono un pezzo di ferro con una pietra, sortendo faville (pizzicati violino) e accendendo il fuoco. Le giovinette si riscaldano e invitano l’Inverno presso di loro, questi però rifiuta: il miglior mezzo per eccitare il calore è la danza. Gli zeffiri svolazzano intorno al canestro e sciolgono i ghiaccioli che lo circondano. Sorgono mazzi di fiori tra cui la Primavera (sotto forma di una giovinetta). Ora il canestro si ricopre di bianche spighe e l’Estate si erge dal mezzo dei covoni. L’Estate e le sue compagne vogliono ballare ma il caldo è opprimente; intanto giovani Naiadi escono dal canestro, con lunghe sciarpe verdi di velo imitando le acque. L’Estate e le sue compagne si rinfrescano alle sorgenti delle Naiadi imitando l’azione del nuoto. Compare poi un fauno che insegue le giovani bagnanti spaventate. In lontananza si odono suoni giulivi; il canestro si riempie allora di frutti e ceppi di vite e il fauno finisce col salirci sopra. Schiaccia i ceppi di vite e scopre l’Autunno, impersonificato da una giovane. I suoni del sistro e dei timballi annunciano i Satiri e le Baccanti che danno il via a danze molto animate per arrivare al galop finale.

 L’opera venne replicata 65 volte fino al 2 luglio 1858; dopo l’esordio parigino venne messa in scena al Teatro di sua Maestà a Londra il 10 maggio 1856 e venne replicato per sette volte. Riportiamo i commenti della critica dell’epoca, considerando che grosso risalto venne dato alle prime ballerine che si alternarono: Madamoiselle Victorine Legrain (Inverno), Claudina Cucchi (Primavera), Adele Nathan (Estate) e Caterina Beretta (Autunno).

 Le Pays (17.VI.1855)” La musica è molto brillante e varia, che non sapremmo quale preferire, l’unica critica è che blocca l’azione troppo a lungo” (Escudier).

Le Figaro (17.VI.1855)” Le melodie di questo balletto sono eleganti, gradevoli e distinte, riposano piacevolmente l’orecchio dalla parte drammatica e un po’ tesa dell’opera” (B. Jouvin).

La Presse théâtrale (24.VI.1855)” Il balletto è lungo ma noioso” (C. Darcourt).

 Il giudizio più autorevole è quello che ci è giunto da H. Berlioz attraverso il Journal des débats (26.VII.1863) di qualche anno successivo “Il balletto delle stagioni contiene belle arie di danza, affascinanti”.

 I critici italiani restarono più freddi nei confronti di Verdi: sia La fama (21.VI.1855) che Il Trovatore (21.VI.1855) concordano che “il balletto delle stagioni apparve troppo lungo… Verdi non apparve a suo agio nella musica ballabile… Claudina Cucchi trasse il teatro all’entusiasmo, è giovane che può star a lato della Cerrito e della Rosati”.

La Gazzetta dei Teatri (22.VI.1855)” E’ questo il momento in cui a Parigi l’Italia trionfa… Su tutta la linea artistica: Vela trionfa all’esposizione col suo Spartaco nella cultura, la Ristori nella recitazione, Verdi nella musica, la Beretta e la Cucchi nella danza. L’orchestrazione è delle più brillanti”.

La prima rappresentazione italiana avviene a Parma, non col titolo originale bensì come Giovanna de Guzman, in quanto la censura fece modificare personaggi, luoghi e tempi.

La Gazzetta di Parma (29.XII.1855)”Ed eccoci al lato debole, considerando il quale si attaccano tosto le danze… La suddetta metamorfosi toglie ogni prestigio”.

Il Trovatore (9.I.1856) presso il Teatro Regio di Torino “Nel balletto delle quattro stagioni la musica è assai facile e spontanea”.

                        Solo due anni dopo la composizione delle Stagioni Verdi acconsentì a scrivere nuovi ballabili per l’allestimento parigino di una nuova versione francese de Il trovatore. Le trouvère, pur mantenendo per buona parte inalterate le parti musicali della versione italiana, venne modificata nel testo in francese grazie alla traduzione di Emilien Pacini. Risulta però un’opera differente nei numerosi aggiustamenti per le esigenze del nuovo libretto, che comportano differenze sostanziali con il rifacimento del finale dell’opera. Probabilmente Verdi intendeva una composizione che fosse una logica prosecuzione alla trama dell’opera.

Lo studio della genesi del balletto è complicato dal fatto che la partitura autografa non è stata conservata. Il programma del balletto è conservato solo nelle note che descrivono lo sviluppo coreografico che sono state inserite da una mano ignota nella copia del manoscritto orchestrale dell’opera. Il balletto si svolge nella seconda scena dell’atto III ed è rappresentato da un gruppo di zingari che ballano per i soldati del conte di Luna. Nel primo e terzo ballabile Air de Bohème ed Ensemble figurano temi legati all’opera (come il celebre Chi del gitano) mentre il secondo ballabile Gitanella è un bolero efficace che richiama la Danse espagnole di Ciajkovskij nel Lago dei cigni (1875). Il numero successivo La Vivandiere richiama il carattere distintivo di una marcia di cavalleria francese: la sezione centrale è una danza lenta, una melodia dal carattere modale e pastorale accompagnata da arpeggi del violino che terminano con una ripresa del tema iniziale. Echo de la Vivandiere è un valzer vivace in 3/8 con tipico sapore francese che venne eseguito come variazioni dalla solista Zina Richard (anche se era stata originariamente scritta per Caterina Beretta, una delle interpreti delle Stagioni). Echo du soldat si ispira ad una marcia militare francese accentuata dall’articolazione puntata. Segue un grazioso valzer che nel secondo tema ricorda vagamente la musica russa nella fattispecie Ciajkovskij; il Pas de deux termina con un breve finale nello stile di can can di Offenbach. La bonne aventure inizia con un andamento pastorale che ricorda la siciliana dell’Estate; a seguire una graziosa polka in la minore ripresa più volte, di cui una anche in maggiore, prima di tornare al motivo iniziale. Echo de la Bohemien è una variazione eseguita da Mademoiselle Cucchi ed è un curioso valzer che ha una sorprendente affinità melodica con la frase di apertura di Gilda nell’aria Caro nome da Rigoletto. Un galop di chiaro richiamo a Offenbach conclude la parte strumentale: la danza è alternata da episodi che richiamano lo stile boemo ungherese prima di terminare con un vivace animato finale.

Passiamo ad alcuni articoli dei giornali del periodo.

L’entracte (12.1.1857) “Il balletto che è stato aggiunto è molto originale”.

Le Figaro (15.1.1857) “Il balletto non ha alcuna originalità, inoltre è molto lungo. Una debuttante di nome Zina e Mademoiselle Couchi (Cucchi) danzarono nei ballabili, io preferisco applaudire altre creazioni” (B. Jouvin).

La Revue et gazette des théâtres (15.1.1857) “Le Arie composte da Verdi ci sono sembrate affascinanti”.

La Francia musicale (18.1.1857) “Il balletto dopo il coro dei soldati, è pieno di interessi e le melodie sono affascinanti e originali”.

La Gazzetta di Milano (24.1.1857) “Il balletto offre a Madamigella Cucchi, la più avvenente, la più distinta e graziosa delle zingarelle, una buona occasione per farsi ammirare. Questa nuova musica di Verdi è vivace, gaia, originale, piena dei motivi più variati e graziosi e perciò produce un vivo distacco dallo stile severo, commovente ed appassionato del dramma” (E. C.).

Revue de Paris (1.3.1857) “Non abbiamo parlato di balletti, per i quali Verdi ha scritto brani completamente inutili”(L. Giraud).

Le presenti trascrizioni rimandano ad una prassi in uso tra fine ‘700 e’ 800 quando venivano elaborate opere intere o in selezione per gli organici più disparati, dal pianoforte solo al quartetto d’archi o quartetto d’archi con flauto. L’unica differenza rispetto al passato riguarda l’uso della fisarmonica, strumento più tardo rispetto al violino che gode di una letteratura molto più limitata. I due artisti con questa incisione intendono porre omaggio al Cigno di Busseto  nella proposta di due pagine meno frequentate del repertorio verdiano, sfruttando tutte le combinazioni timbriche della fisarmonica e gli ardimenti tecnici del violino.


© EMA Vinci – L&C 2020 / 70214