IL N’EST PAS COMME NOUS! Alessandro Solbiati

Une fable de tous les temps

UN TEATRO DA IMMAGINARE
IL N’EST PAS COMME NOUS!
favola amara di ogni tempo

 

Il n’est pas comme nous! è nato da amicizia, gratitudine e ammirazione.

Da circa dieci anni ho una piccola classe di composizione anche al Conservatoire “F.Poulenc” di Tours, e la mia presenza là ha un nome soltanto, quello di Anne Aubert, grande docente di quel Conservatorio e direttrice artistica con passione e fantasia di ATMusica, un ensemble, ma anche una vasta stagione di concerti e una serie di iniziative collaterali per la diffusione della musica, con una particolare attenzione alla musica d’oggi. L’ospitalità a casa di Anne e la straordinaria cucina sua, ma ancor più di Jerôme, suo marito, erano sinceramente il centro dei miei brevi ma ripetuti soggiorni didattici a Tours. Quando Jerôme morì improvvisamente nel 2016, decisi di fare un omaggio a lui e alla sua famiglia, e della famiglia faceva parte la figlia Mathilde Barthélemy, che inizialmente sapevo essere un’attrice. Ma una sera, Anne mi invitò ad un concerto in cui, mi disse, Mathilde cantava il Marteau sans maître di Pierre Boulez: rimasi sbalordito, conoscendola come attrice, e lì capii che avevo di fronte una rarissima figura di attrice-cantante con una doppia abilità del tutto equilibrata e di alto livello. L’omaggio, dunque, non poteva che passare attraverso la figura di Mathilde.

E da subito il progetto fu quello di un teatro del tutto povero, senza scene, in cui Mathilde, cantando, recitando e con pochi gesti aggiuntivi, disegnasse un arco narrativo supportata da pochi strumentisti che in qualche modo potessero anche far parte dell’evento scenico. Ma su quale testo?

Dopo vari tentativi, fu proprio Anne a propormi il Retablo de las maravillas di Miguel de Cervantes Saavedra, un breve intermezzo scenico che mi colpì subito perché da una parte era agile, divertente e un poco surreale, e dall’altra conduceva ad una morale assai amara e terribilmente vera anche oggi.

In breve, questa la storia: Chanfalla, un ciarlatano di provincia, seguito dalla compagna Chirinos e da un piccolo musicista, Rabelin, gira di villaggio in villaggio ed entra in contatto con i notabili locali per mostrare loro quello che afferma essere un teatrino magico, nel quale si possono vedere cose straordinarie ma…a una, anzi due condizioni: quella di essere figli di legittimo matrimonio e quella di non avere nulla a che fare, nella propria genealogia, con i Giudei, discriminatissimi e disprezzati, in quella Spagna del ‘4-‘500. Ed ecco che, quando lo spettacolo inizia e Chanfalla “mostra” via via Sansone che distrugge le colonne del tempio, o una valanga di topi che provengono alla lontana dall’arca di Noè, o l’acqua miracolosa del Giordano o, infine, la danza sensuale di Erodiade (curioso errore, secondo me, perché a danzare dovrebbe essere la figlia Salomè…), tutti, per non mettere a rischio la propria reputazione sociale ed essere considerati bastardi o giudei, fingono di vedere e reagiscono con passione, spavento, attrazione alle varie immagini…inesistenti.

Ma purtroppo arriva un ignaro “esterno”, un soldato che, non avendo reputazioni sociali da difendere, smaschera con mala grazia l’inganno. Ma poiché una convenzione ipocrita e falsa, se condivisa dalla società per difendere una propria condizione di privilegio, diventa più vera della verità, ecco che è il soldato ad essere considerato un mentitore, o, peggio, un bastardo o un giudeo, un “diverso”, quindi, e un “diverso” (e questa è la morale valida per tutti i tempi, ancor più oggi) va emarginato, allontanato, aggredito. E questo è quello che avviene al povero soldato (una “favola del Re nudo” senza lieto fine, dunque), mentre Chanfalla gongola, perché il rumore che in questo modo si fa attorno al suo teatrino “magico”, gli permetterà di esibirlo con ancora maggior successo in altri villaggi.

Il testo era dunque molto adatto e accattivante, ma naturalmente avrei dovuto agire sulla traduzione francese, per permettere anche la recitazione, oltre che il canto, di Mathilde. Così feci, riducendo di molto il testo originale per renderlo più agile e sintetico.

La struttura globale, da me sovrapposta ad un testo che non prevedeva suddivisioni, è quella di un atto unico composto da Prologo, tre Scene ed un Epilogo, intercalati da quattro Intermezzi strumentali utili non solo a scandire la forma ma anche a dar respiro ad una voce che deve ripetutamente alternare parlato e cantato, mimando voci differenti e cantando di volta in volta con attitudini assai diverse; fu Mathilde stessa, poi, a immaginare una stilizzatissima “regia”, per la quale pochi gesti, un cambio di cappello o di altro dettaglio esteriore riescono a profilare i differenti personaggi.

La strumentazione, come in ogni teatro povero che vorrebbe essere portato in giro come un nuovo carro di Tespi, è ridotta all’osso: tre archi, violino, viola e violoncello, e un percussionista con un set assai ridotto e “leggero”. Ma proprio tale ristrettezza di mezzi mi ha condotto ad una particolare strategia di orchestrazione (geniale insegnamento dell’irraggiungibile Ravel): quando si hanno pochi strumenti, bisogna…usarne ancora meno, cioè “economizzare”, mediante frequenti zone per strumento solo o duo, distillando rari momenti di “tutti”, e per quanto riguarda le percussioni tenere ripetutamente da conto uno strumento mai usato prima per caratterizzare questa o quest’altra zona.

La natura stessa del testo, ironico e, appunto, surreale, mi ha condotto anche a momenti ritmici o quasi “tematici” (si pensi al finale) per me piuttosto insoliti, e ad ampliare il più possibile la gamma di gesti, figure, timbri e registri, scegliendo ad esempio, nella terza scena in cui si afferma la “presenza” del minaccioso Sansone o dei brulicanti topi e così via, di mettermi dalla parte del ciarlatano (ma anche dell’ostentata creduloneria generale) e di mettere davvero in scena la minaccia delle colonne che possono crollare o dei topi che possono salire sulle gambe delle signore: non posso che dire che la composizione di Il n’est pas comme nous! mi ha molto divertito, quanto spero possa divertire lo spettatore e l’ascoltatore!

Infine, oltre alle già più volte citate Mathilde e Anne, devo ringraziare per questa produzione i formidabili musicisti di ATMusica, il Festival Pontino che ha ospitato l’esecuzione qui presentata nella splendida cornice delle Scuderie del Castello Caetani di Sermoneta, Roberto Terelle che ha curato la regia del suono in condizioni non semplicissime, e, last but not least, l’amico Francesco Leprino, con cui collaboro da molti anni, che ha realizzato la produzione video con grande cura e, a mio parere, bellezza di immagini.

Alessandro Solbiati