
āImpara tutto sulla musica e sul tuo strumento, poi dimentica tutto sia sulla musica che sullo strumento e suona cioĢ che la tua anima detta.ā
Adele DāAronzo ha deciso di far parlare la sua anima. Ha deciso di percorrere la non semplice strada della contemporaneitaĢ, fatta di ripide ascese e di navigazioni al limite del conosciuto ma sempre realizzate spingendosi, sinuosamente e senza bussola, in oscuri anfratti. Navigare a vista tra le note eĢ infatti una sfida straordinaria, che solo il connubio magico tra un vero artista e uno strumento come il pianoforte riescono a regalare a chi, con la giusta attenzione, si appresta ad ascoltare. Le intriganti atmosfere che, di fatto, riescono ad essere trasposte dal sapiente utilizzo e dal ritmico alternarsi di tasti bianchi e neri, riempiono di colori forti anche pentagrammi inviolati disposti a divenire contenitori preziosi di sonoritaĢ celate. Adele ha cercato, in questo attento lavoro, di raggruppare alcuni brani scritti e dedicati a lei. Composizioni eseguite in concerto nel corso degli ultimi anni della sua brillante carriera.
Ha inseguito, inoltre, il desiderio di calibrare, con certosina armonia, le suggestioni che solo percorsi interiori e vibrazioni estreme possono suggerire a chi, senza confini, intende recepire. Il rigore dettato dalle note si intreccia alla volontaĢ di libe- rare se stessi. Ho sempre pensato che muoversi alla ricerca di nuove possibilitaĢ sia un valido pretesto per riscoprire il gusto del divino. Una pennellata decisa su una tela, un susseguirsi di parole estreme, la creazione di moderne sonoritaĢ sono di fatto simili a sentieri che guidano verso la meta che ogni uomo cerca, irrazionalmente, di poter raggiungere.
Non sempre questo accade ma a volte le coincidenze si sommano e allora… Ascoltare il nuovo lavoro di Adele in anteprima mi eĢ parso un privilegio assoluto. Scrivere queste poche righe… un vero e proprio dono offerto allāartista che, facendo rete, ha voluto saldare vecchi ricordi e nuove possibilitaĢ.
La citazione iniziale eĢ di un grande del jazz; quello che ascolterete, un affascinante ed incantevole mistero.
Nazzareno Orlando

– 1 –
Fire dancing (Nestinarstvo)
Fabrizio De Rossi Re
– 2 –
AD UNUm
Umberto Bombardelli
– 3 –
PORTRAIT Ć DEUX āC.A.D.ā
Paolo Longo
– 4 –
PORTRAIT Ć DEUX āB.B.ā
Paolo Longo
– 5 –
OSTINATO
Gilberto Bosco
– 6 –
PRELUDE VI (Isomorfico non troppo)
Stefano Procaccioli
– 7 –
I MURI BIANCHI DI ENDENICH
Giorgio Colombo Taccani
– 8 –
12, PLACE VENDƓME
Paolo Longo
– 9/14 –
SEI STUDI PER PIANOFORTE
Giuseppe Colardo
9. Agitato
10. Scorrevole
11. Espressivo,
(lentamente e rubato)
12. Prestissimo
13. Ossessivo
14. Con slancio
Sfogliando lāantologia pianistica che ci propone Adele DāAronzo ā i brani sono tutti dellāultimo decennio, quindi freschi dāinchiostro – ci rendiamo conto che la musica, come la poesia, ha una sua continuitaĢ profonda, ma parla con voci sempre nuove e nei termini piuĢ personali delle questioni generali, del mondo, illustrando e accompagnando cosiĢ quellāinsieme di finzione e veritaĢ che siamo. ā…La forma che utilizza per farlo eĢ mutevole come mutevoli siamo noiā, diraĢ il poeta Cees Nooteboom, ā… abbiamo costantemente bisogno di nuovi poeti, di nuove poesie… lāunica cosa che chiedo [alla poesia] eĢ che esista: oscura, chiara, razionale, metafisica, danzante, contemplativa, che parli del mondo in cui vivo, il mondo reale, immaginato, fuggevole, pericoloso, possibile, impossibile, esistente. E so che esisteraĢ sempre…ā.
Il mondo che stiamo vivendo – fino allāattuale alienazione dellāhomo faber – dimostra peroĢ che la globalizzazione non ha funzionato e la troppa omogeneitaĢ ha reso questo nostro mondo piatto, indifferenziato e costituisce forse il vero problema culturale e identitario. Oggi gli ideali sembrano spariti, le bandiere sono lacere, e nulla ormai puoĢ sorgere se non dal basso e dal nuovo, come ogni nuova pianta che nasce solo da un nuovo seme. AggiungeraĢ Viviana Vivarelli che ā…chi insiste a perpetuare il vecchio eĢ diventato cariatide che non regge nemmeno se stesso. I vecchi miti sono tramontati. Abbiamo bisogno di nuovi valori e soltanto uomini nuovi possono inventarli…ā.
Il cammino interiore del musicista diventa il paradigma di una progressiva scissione tra presente e memoria: tra il āprincipio di piacereā e il senso profondo delle cose. Forse lāunica risorsa che ci lascia sperare in una redenzione futura eĢ quella curiositaĢ intellettuale senza la quale lāarte eĢ mera esecuzione del segno. La pagina scritta eĢ un naturale e semplice strumento della memoria, un prolungamento di questa, eĢ pagina su cui appuntare i contorni di un discorso, come uno stato mentale privo di dogmi e anche come indice di un pensiero che eĢ attento allāOccidente e alla sua storia.
Probabilmente non cāeĢ un nuovo modo di fare musica: forse ci sono molti modi di fare musica di cui nessuno eĢ privilegiato. Lāidea che il linguaggio rappresentasse un progresso rettilineo ed inesauribile e che fosse assolutamente autonomo e autosufficiente ci ha condotto ad una enorme frammentazione del linguaggio post-weberniano, a quella complessitaĢ arbitraria che si eĢ annullata nel suo esatto contrario.
E qui scatta un altro procedimento che ritengo decisivo per queste nostre considerazioni, il processo della āmemoriaā. Nella dissoluzione del linguaggio armonicoātonale , nella dodecafonia, nel postwebernismo si eĢ manifestata la fine di un linguaggio ed eĢ chiaro che lāaggrapparsi allāipotesi di un linguaggio sostitutivo non qualifica la musica in alcun modo, se non da un punto di vista meramente ātecnico-compositivoā.
ā… La spinta di evolvere il linguaggio, di dissolverlo, di ritentarne la costruzione e a tentare nuove vie di libertaĢ si trova spesso in valori extramusicali, culturali, sociali piuĢ che nelle possibilitaĢ intrinseche al linguaggio stesso… Dāaltro canto anche la musica piuĢ astratta, cioeĢ quella di Webern, contiene dentro di seĢ (ripensata come memoria musicale) tutta la sapienza, gli artifici della scuola fiamminga: ed eĢ proprio per questo che si pone con una inconsueta luciditaĢ e razionalitaĢ e che ci comunica una emozione rara…ā, argomentava il compositore Vittorio Gelmetti e continuava: ā… Nonostante molti sostengano che lāessenza della musica stia nel testo scritto, io continuo a pensare che essa sia fatta per essere ascoltata… Per me la musica eĢ cosa che esiste, al di laĢ della scrittura, che ne garantisce la ripetibilitaĢ, nel momento in cui āsuonaā. Tutto il resto viene dopo, tutte le analisi, tutte le ipotesi, tutto cioĢ che cāeĢ dentro…deve venire dopo. Mi sembra che questo fatto sia comune tanto alla musica della grande tradizione, alla musica popolare, come alla musica di consumo ed a qualsiasi altra musica… Ora, quando io parlo di fine di una cultura, voglio anche dire che vivere bene il crepuscolo di questa cultura significa essere capaci di riassumerne i portati. O anche… essere capaci di gettare alle ortiche tecniche raffinate ma esaurite, a vantaggio di procedimenti piuĢ elementari e piuĢ rozzi ma che, in un certo momento, si rivelano piuĢ vitali e forse… capaci di portare ad una re-invenzione della musica stessa…ā. Questa definizione di un sentimento che sicuramente ingloba lāinteresse per la memoria come unico possibile humus di ogni consapevolezza e comunicabilitaĢ e anche come sentimento che esclude qualsiasi desiderio di ritorno non saraĢ mica – come usava dire Vittorio Gelmetti – una nostalgia dāEuropa?
Aleksander Rojc

Le parole degli autori per le note alle composizioni, tutte e dedicate a Adele DāAronzo:
Fabrizio DE ROSSI RE (1960): Fire dancing (Nestinarstvo) (2013)
Il pezzo eĢ ispirato alla ādanza del fuocoā (Nestinarstvo in bulgaro). La danza del fuoco eĢ una delle piuĢ antiche usanze bulgare e, secondo alcuni ricercatori, le radici della danza provengono dai Traci e dal loro culto per il Sole. Eā un gioco rituale sui carboni ardenti e un sacramento religioso. Con il ritmo di tamburi e cornamuse i danzatori del fuoco ballano a piedi nudi sui carboni ardenti, e spruzzano scintille di braci ardenti che illuminano la loro danza. Il pezzo, dedicato ad Adele DāAronzo, vuole anche essere un omaggio a Bartok, e utilizza dei modelli tipici del ritmo bulgaro presenti nelle āsix dances in Bulgarian Rhythmā nel quinto volume dei Mikrokozmosz.
Umberto BOMBARDELLI (1954): Ad Unum (2018)
Il brano oscilla costantemente tra lāenergia sonora ādiluitaā del cluster – ottenuto generalmente con lāuso del pedale destro – e lāenergia āpotenzialeā del singolo suono violentemente ribattuto. Il brano, parallelamente, si dispiega tra i poli estremi di mobilitaĢ e fissitaĢ delle altezze. Ho cercato di creare un brano ricco e attraente per lāascoltatore e strumentalmente interessante per lāinterprete, utilizzando – senza concessione alcuna – i mezzi del mio linguaggio di oggi. Convinto che, a chi ascolta, possa giungere intatta lāintenzione espressiva, nellāevidenza della costruzione sonora.
Paolo LONGO (1967): Portrait aĢ deux āC.A.D.ā (2011) – Portait aĢ deux ā B.B.ā (2013)
Questi brani costituiscono il mio omaggio a due compositori che tanto hanno influito (ed influiscono) sulla mia vita.
Le sigle virgolettate (le iniziali) svelano le loro identitaĢ: Claude-Achille Debussy e BeĢla BartoĢk; tali iniziali formano, assieme alle due uniche lettere āmusicabiliā secondo il sistema tedesco del mio nome e cognome, tutte le altezze che costituiscono il materiale base per entrambi i lavori.
I brani iniziano con figure tra loro molto simili, che daranno peroĢ accesso a percorsi ben differenziati, dai climi espressivi spesso tra di loro contrastanti.
Gilberto BOSCO (1946): Ostinato (2018)
Questa non eĢ una pipa. Una rosa eĢ una rosa eĢ una rosa. E la musica eĢ musica: intervalli e note; ripetute variate manipolate dal compositore, con delle scelte in parte chiare in parte nascoste. Qui un pezzo per pianoforte, in cui il vero protagonista eĢ probabilmente il pedale; un pedale che offusca e confonde i campi armonici, mescolando le prime note con quelle che seguono, forse cercando di rivelare che il pianoforte puoĢ essere il luogo della memoria: oggi, ieri, il divino Claude e lāimmenso pianista polacco, vai ancora indietro, ecco che spunta Ludwig… Suono e memoria, come in molti altri miei lavori.
Stefano PROCACCIOLI (1960): Prelude VI (2012)
In Prelude VI il continuo presentarsi alla mia mente del suo celebre omonimo francese mi ha ācostrettoā a continuare la mia riflessione sulle possibilitaĢ di rendere concretamente e intimamente interconnessi, esteticamente coerenti, materiali storicamente e stilisticamente molto lontani tra loro, ma non solo. Prelude VI nasce anche da una riflessione sul concetto di forma. Esso infatti ripercorre in chiave personale alcuni dei āsentieriā che caratterizzano il suo celeberrimo omonimo in un gioco dove, anche qui come in altre mie opere, il passato non vuole essere estraneo cammeo, bensiĢ feconda materia generatrice dellāopera.
Giorgio COLOMBO TACCANI (1961): I muri bianchi di Endenich (2011)
Schumann passa gli ultimi due anni di vita nel manicomio di Endenich, con rapporti sempre piuĢ precari con la realtaĢ. I muri bianchi di Endenich si lega a questa doloroso epilogo: la tensione delle figure, sempre parossistiche ed eccessive, si disgrega in situazioni diverse, appena mitigata da ripiegamenti piuĢ silenziosi.
Con una struttura asimmetrica questo convulso alternarsi di apparizioni si congela nellāultima sezione, vasta ed uniforme: radi accordi in fortissimo attraversano tutta la tessitura dallāacuto al grave lasciando emergere frammenti della Seconda Sonata per pianoforte di Schumann, a partire dai quali eĢ costruito lāintero brano.
Paolo LONGO (1967): 12, Place VendoĢme (2010)
Un indirizzo particolare, il titolo di questo brano: oltre ad essere una delle piuĢ belle piazze dāEuropa, Place VendoĢme a Parigi ha la prerogativa di aver ospitato (al numero 12) Fryderyk Chopin negli ultimi mesi della sua vita.
Sorta di ansioso e disperato ātombeauā, questo brano eĢ basato su alcuni frammenti tratti dallo Scherzo n.1 Op. 20, che costituiscono tutto il materiale su cui il brano stesso eĢ costruito. La struttura di questo lavoro, suddivisa in vari pannelli, prende spunto dalla particolare forma della Place VendoĢme ā un poligono irregolare, con la grande colonna bronzea al centro.
Giuseppe COLARDO (1953): Sei studi per pianoforte (2009 ā 2014)
Da tempo mi ripromettevo di dedicare una composizione di una certa rilevanza al mio strumento: il pianoforte. Il primo libro degli Studi rappresenta la prima pietra di questo progetto a lungo termine.
Ogni pezzo, seguendo unāimportante tradizione della letteratura pianistica, eĢ caratterizzato da un peculiare problema tecnico (ottave, abbellimenti, ecc.), a esclusione del n. 6, che si presenta come uno studio da concerto. La scrittura scaturisce quasi sempre da unāidea timbrico-musicale e si concretizza in figure e gesti attraverso i quali i campi armonici si articolano ed evolvono, differenziando cosiĢ le varie sezioni dei brani.
Reference
https://vk.com/wall410241041_56
